Covid e nuovo assetto geopolitico: la partnership asiatica un’opportunità per uscire dalla crisi?

 


Dopo otto anni di negoziati il 15 Novembre è stato firmato un accordo che potrebbe potenzialmente cambiare il futuro economico e strategico dell’Europa e di tutto il mondo occidentale. Tutto questo senza una minima copertura mediatica probabilmente in conseguenza del focalizzarsi di tutti i giornali sulle notizie riguardanti l’emergenza sanitaria da coronavirus, il famoso virus di Wuhan.  Questo accordo prevede di dar vita alla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), che include un’intesa economico-commerciale tra i dieci Paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Un momento storico che segna la nuova costituzione del blocco commerciale e d’investimento più grande al mondo, in grado di rivoluzionare la geopolitica della regione e i rapporti tra gli Stati dell’Est asiatico.

Sia chiaro, l’accordo non è stato  proposto o pilotato dalla Cina ma, ma si è trattato quasi completamente di attivismo Giapponese,  ma alla fine molti pensano che la vastità dell'economia cinese e la sua azione economica "gravitazionale" inevitabilmente faranno sì che l’RCEP diventi un’organizzazione Cina-centrica e la stessa sposterà ulteriormente il centro della gravità economica regionale e quindi mondiale verso Pechino.  L’RCEP porterebbe dei benefici non indifferenti: coinvolge circa il 30% della popolazione mondiale e non dimenticando la necessità interna della Cina di mantenere la crescita economica potrebbe favorirla creando almeno 200 miliardi di aumento del reddito mondiale. Tale crescita è certamente una buona notizia anche per i Paesi europei, specialmente dopo che il virus ne ha messo in crisi le loro economie. Eppure proprio la crisi stessa potrebbe sempre generare una nuova accelerazione del trasferimento della ricchezza e quindi del potere commerciale dall'Europa e in particolare dall’EU oggi “più piccola” della RCEP.

Per gli Stati con le economie danneggiate dal covid, in gran parte anche dell'Indo-Pacifico, dunque l’RCEP potrebbe migliorare anche l'accesso ai finanziamenti della Belt and Road Initiative (BRI) cinese, con tutte le implicazioni geopolitiche ed economiche conseguenti.

È bene ricordare che anche l’Italia è entrata a far parte della rosa dei partner di Pechino nel progetto BRI - noto anche come "nuova via della seta". Il progetto fu originariamente pensato per connettere la Cina ai mercati dell’Europa Occidentale via terra e via mare, ma poi ha esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina e i suoi obiettivi sono andati ben oltre le reti di trasporto: oggi la BRI insegue infatti l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale di Pechino non solo sul piano commerciale, infrastrutturale e logistico ma anche finanziario, energetico e persino culturale. Al momento la BRI è  dunque diventata un vero e proprio strumento di politica estera di Pechino.

Nel marzo 2021 tuttavia sarà reso noto anche il quattordicesimo piano quinquennale della Cina. Da quanto filtra finora, l'obiettivo della Cina sarà quello di migliorare la sicurezza economica, tecnologica e della catena di approvvigionamento. Gran parte del piano sarà dedicato a ridurre il divario economico, guidato dalla rapida urbanizzazione anche dei centri periferici. A quanto pare però una parte rilevante del piano sarà dedicata anche al rafforzamento della sicurezza interna in seguito ai disordini sociali di protesta democratica recentemente avvenuti a Hong Kong e, come noto, repressi con la forza del regime di Pechino.