Detroit, Bigelow nella "rivolta" nera

'Detroit' di Kathryn Bigelow, che passa oggi alla 12/ma edizione della Festa di Roma, più che un film sulla rivolta avvenuta in questa città dal 23 al 27 luglio 1967, è, specie nella prima parte, una scatola magica che ti porta dentro quella tragedia e ti fa terrorizzato protagonista. Un effetto verità che ti fa partecipare delle paure prolungate, dell'orrore vissuto nel blitz all'Algiers Motel dove tre afroamericani vennero uccisi e altri sette, comprese due donne bianche, vennero brutalmente pestati da alcuni agenti. Un effetto verità voluto dalla regista premio Oscar, per questo film in sala dal 23 novembre con Eagle Pictures, grazie a un casting del tutto originale. Nel 1967, tutto partì in seguito a un raid della polizia in un bar notturno, privo di licenza alcolici, nel quale alcuni afroamericani festeggiavano il ritorno dal Vietnam di due amici. La sommossa che si scatenò poi, come reazione a questo iniziale episodio, causò in cinque giorni la morte di 40 persone e più di 1000 feriti. Il film, che arriva nelle sale a 50 anni da quello che è considerato uno dei più grandi scontri razziali della storia degli Stati Uniti, utilizza, oltre la preziosa collaborazione dello sceneggiatore premio Oscar Mark Boal anche di molti filmati di repertorio e si avvale poi di un attore inglese straordinario, William Jack Poulter (Maze Runner - Il labirinto, Le cronache di Narnia) , perfetto nei panni dell'agente Krauss ottusamente razzista quanto ottuso in tutto. Come prologo a Detroit, della durata di 147 minuti e che per essere realizzato ha utilizzato molte testimonianze dei protagonisti sopravvissuti, le tavole di un famoso artista. "Sono sempre stata affascinata dal lavoro del grande artista afro-americano Jacob Lawrence - dice la Bigelow -. La sua importante serie sulla migrazione, sembrava proprio la voce migliore per descrivere i decenni che portarono ai disordini civili anni '60 e per mettere lo spettatore nella posizione di poter comprendere la rabbia e il senso di ingiustizia che si erano andati formando nei decenni passati e che avevano messo questo paese su una rotta di collisione. Abbiamo approcciato la fondazione Jacopo Lawrence con un'idea - dice ancora la regista -, quella di fondere i pannelli l'uno dentro l'altro, in modo che uno conducesse automaticamente a quello dopo. Quando è arrivato il momento di aggiungere il testo, ancora una volta ci siamo trovati a bocca aperta di fronte alla portata e alla complessità di ciò che causò le sommosse degli anni '60. Questa volta ci siamo rivolti ad Henry Louis Gates Jr., il direttore dell'Hutchins Center for African American Research dell'Università di Harvard". Per trovare il cast adatto la Bigelow ha poi organizzato degli originali giochi di ruolo ad hoc: "Ho creato degli scenari che simulassero la sceneggiatura e fossero basati sulle circostanze. È stato elettrizzante vedere quanto gli attori fossero svegli e fantasiosi e anche quanto fossero poi a loro agio in situazioni fluide e sempre in divenire. È così che ho individuato il cast. Gli attori scelti hanno dimostrato, senza eccezioni, una complessità emozionale densamente ricca e versatile per la loro giovane età".